Mario Cagol (attore – cabarettista)
Trento 9.10.2020
Intervista di Gianfranco Gramola
Lorenza, la mia compagna? E’ stata una gran
fortuna per me averla incontrata, perché lei è il mio punto di riferimento.
Mario
Cagol
nasce a Bolzano il 22/09/1969 e vive a Trento. Accumula 35 anni di esperienza
radiofonica nelle maggiori realtà della Regione ed è ideatore di programmi
radiofonici. Si cimenta anche come autore di spot pubblicitari e di fiction
televisive. Trascorre sei anni
nella prestigiosa compagnia teatrale di
Andrea Castelli, noto attore/autore regionale e frequenta corsi di
dizione e fonetica che lo portano al doppiaggio anche di spot nazionali. Durante
la sua carriera fa numerose esperienze
teatrali e televisive e per dieci anni è conduttore
radio presso un’emittente radiofonica che copre parte del nord Italia:
Il Rododendro
è una sua trasmissione andata in onda per ben 14 stagioni su
Radio 2 Rai. Negli ultimi anni prosegue la sua collaborazione
con la trasmissione a contenuto comico Il Sommario, ora alla sua
diciottesima edizione, su Rai Radio Uno. Ha partecipato, con piccole
parti, a Fiction per Rai e Mediaset.
Collabora con Radio Rai in qualità di attore in sceneggiati radiofonici e
letture d’autore ed ha inoltre condotto tre edizioni della trasmissione Italia
per aria per il canale tematico di viaggi DOVE
Tv del pacchetto
Sky. È infine un noto monologhista teatrale (per il cabaret e non solo)
ed un presentatore televisivo.
Intervista
Nato a Bolzano, residente a Trento o
Pergine Valsugana?
Sono nato a Bolzano perché mio papà
lavorava prima per la Bauer e poi per la Cirio. Quando era alla Bauer si è
spostato con la famiglia in Alto Adige per un anno e sono nato io e poi siamo
tornati a Trento.
Le scuole le hai fatto tutte a Trento?
Si, a Trento. Le elementari le ho fatte alle
Crispi. Abitavo in Clarina e andavo fino alla scuola Crispi, che è un po’
distante da casa e la strada la facevo a piedi con mia sorella. Le scuole medie
le ho fatte alle Segantini e poi ho tentato di fare le "ITI" (allora
si chiamavano così) perché mio nonno
lavorava in quell’istituto e i miei hanno pensato di tramandare il gene. Ma
dopo due anni mi hanno spostato all’Enaip, scuola di grande rispetto ma per me
meno impegnativa. Io sarei elettricista.
Alla domanda che fanno sempre ai bambini:
“Cosa vuoi fare da grande?” cosa rispondevi?
Il veterinario, perché mi piacevano quelle
scene romantiche in cui veniva descritto l’uccellino con l’aletta o la
zampetta fasciata, in quei disegni che si vedevano sui libri per ragazzi, per
intenderci. Una volta ho visto un veterinario con un guanto di plastica lungo un
braccio alle prese con una mucca e mi è passata la passione poetica del
veterinario. E poi bisognava studiare molto più di un medico, perché
l’animale non è che ti dice: “Ho mal di pancia, mi fa male qui, perché
ieri sera ho mangiato molto”. Quindi ho perso la passione per quella
professione e il veterinario l’ho lasciato fare ad altri .... fortunatamente
per gli animali!
Quando hai capito che far ridere sarebbe
diventato il tuo lavoro?
Facevo sempre lo sciocchino alle medie e
quando arrivava il momento delle interrogazioni, io e il mio amico Marco
Grossardi, ci
inventavamo delle scenette che poi proponevamo alla prof e lei: “Fatecela
vedere”. Non era vero che avevamo inventato la scenetta comica, andavamo a
braccio o meglio si improvvisava. Noi ci divertivamo, la professoressa pure e
così saltavamo la lezione. Ho sempre avuto innata la voglia di far ridere,
forse ho preso da mio papà che era sempre allegro e spiritoso. Aveva una
compagnia teatrale in parrocchia ed è stato lì che ho visto le prime recite.
I tuoi genitori che futuro speravano per te?
Bella domanda. Loro non mi hanno mai spinto a
fare questa o quella professione ... dopo il tentativo scolastico s'intende. Mi hanno lasciato abbastanza libero nelle mie
scelte. Appena finito il militare, mio papà mi ha trovato lavoro presso la
Olivetti, ad aggiustare fotocopiatrici, macchine da scrivere e calcolatrici per
sei anni. Nel frattempo facevo teatro, arti marziali, radio e poi ho scelto di dedicarmi solo
allo spettacolo.
Chi sono stati i
tuoi maestri, i tuoi idoli artistici?
Il mio idolo è Totò. Da tempo, per dormire,
uso una tecnica. Mi scarico gli audio dei film di Totò, poi la sera nel letto
faccio play e li ascolto. Adoro film come “La banda degli onesti – Il monaco
di Monza – Totò Truffa – I tartassati – Guardie e ladri – Totò,
Peppino e la malafemmina” e tanti altri. Ascoltandoli ogni volta sento una
sfumatura diversa, perché se uno guarda i film di Totò in maniera frettolosa,
può dire “E’ un comico, fa gesti”. Non è così, perché lui aveva
tempi innati per la comicità. Poi aveva delle spalle meravigliose come Peppino
De Filippo, Nino Taranto, Macario. Erano dei numero uno. Per me Totò è
un’ispirazione, perché i suoi tempi comici li trovi raramente negli attori dei
giorni nostri, nonostante siano passati tanti anni. Ma quei tempi comici lì ... mi
domando a volte se sono da copione o sono nati così, improvvisando sul set.
Anche se fossero stati scritti, sono talmente fatti bene che sono la chiave del
successo di quei film. Quindi Totò è stato la mia ispirazione artistica e più recente
Enrico Brignano. Lui è uno che usa bene la parola, non è volgare se non ogni
tanto qualche uscita, però ci sta. Mi da fastidio un po’ la volgarità, non
sono uno che va in chiesa tutti i giorni, però non serve andare sempre sugli
stessi argomenti per intrattenere il pubblico. Totò non ha mai
detto una parolaccia, al massimo un doppio senso, la battuta però funziona
anche senza dire parolacce. Vedo in tv dei comici e dei cabarettisti e il 90 per
100 finiscono sempre sulla volgarità.
Mario Cagol nelle vesti di nonna Nunzia
Radio, tv, teatro e giornali. In quali di
questi ambienti pensi di dare il meglio
Probabilmente in teatro, perché il pubblico
ce l’hai davanti. In radio parli, però dall’altra parte c’è un pubblico
più distratto, perché va in macchina, è al bar o sul lavoro e quindi non c’è
la stessa attenzione, non hai il polso per dire se ti stai perdendo nei discorsi ed è il caso di recuperare. Cosa che invece hai in teatro, perché
se vedi nel pubblico qualcuno che guarda l’orologio, è segno che ti stai
allungando troppo. In teatro metti a
disposizione del pubblico la tua arte, se ce l’hai. Io ogni volta che salgo
sul palco, sono sempre agitatissimo, nonostante la mia esperienza, anche quando
faccio una cosa per un pubblico di bambini ... una cosa non troppo impegnativa. Quando vengono
le persone a vederti in teatro, tu
devi soddisfare le loro aspettative, quindi far ridere, far riflettere, far
emozionare proprio per rispetto per il tuo pubblico. E’ sbagliato pensare che
basta dire le solite due battute per far ridere la gente, con questo modo di
ragionare non rinnovi mai il tuo repertorio e non cerchi di fare qualcosa in più.
Comunque, riassumendo, sono sempre agitato prima di esibirmi.
Come quando si fa l’esame della patente …
Esattamente così, Gianfranco (risata).
Com’è nato il personaggio di Nonna Nunzia?
Dovevo fare il programma “Il Ribaltone”
su TCA (ora Trentino TV), una specie di Corrida in versione trentina e volevo
alternare i personaggi e gli ospiti con qualcosa di mio. Avevo fatto solo una
versione audio di Cappuccetto Rosso reinterpretata a modo mio e facevo la nonnina con una voce
particolare. In occasione del programma tv, ho pensato di fare la nonna anche in versione video. Mi sono messo
addosso dei vestiti vecchi, uno
scialle tipico delle nostre nonne e avevo anche un po’ di barba (risata) e ho
fatto la vecchietta prendendo spunto da una signora che abitava una volta sopra
di me. A quei tempi ero in affitto da questa signora ed era un incubo, perché
anche se ero in affitto, era come se ce l’avessi sempre in casa. Se piantavo
un chiodo, lei scendeva e mi chiedeva cosa facessi. “Pianto un chiodo per
attaccare un quadro o una mensola” dicevo. “Attaccalo con la colla”,
diceva. Non mi lasciava fare niente e ad ogni rumore me la trovavo in casa.
Allora ho preso un po’ lo spunto da questa signora, che aveva una voce
particolare, ed era un po’ invadente. Poi quando faccio la nonna, oltre al
testo preparato, lei si prende la scena da sola, alla fine va per la sua strada,
improvvisa. Infatti a breve ho una data dove il pomeriggio faccio la nonna e la
sera ci sono io, con il mio monologo. Sta vendendo di più lo spettacolo della
nonna e questo mi da un po’ fastidio (risata), nonostante sia sempre io.
Hai un ossessione professionale?
Mi riascolto perché devo, ma faccio molta
fatica, perché con i miei lavori sono cattivissimo, sono molto autocritico. Mi
hanno mandato in anteprima uno spot che faccio io con la nonna Nunzia, su una
vecchia Fiat 500, dove la nonna porta il materasso in banca, con i suoi risparmi. Lo guardo e rimpicciolisco lo schermo perché non mi
piaccio, sono sempre molto autocritico come dicevo e questa volta ancora di più
essendo dentro ad un'auto. In macchina se
accendo la radio e c’è un programma registrato dove ci sono io, mi imbarazzo
e cambio stazione.
Quali sono le tue ambizioni, i tuoi progetti?
La mia ambizione è quella di continuare a
fare questo mestiere meglio che posso, stando in armonia con tutti, perché
anche se viviamo in un posto piccolo, c’è un bel po’
di invidia fra colleghi. E’ un peccato perché sarebbe bello darci una mano,
visto che siamo in pochi a fare questo mestiere. Cerco di non farmi coinvolgere
da commenti e giudizi sulla rete e forse per cautelarmi da queste cose,
sono diventato un po' orso. Non sono presente sui social, le critiche inutili
fatte tanto per fare mi feriscono troppo e allora sto un po’ sulle mie. Quindi la mia ambizione
è quella di lavorare bene e che la gente abbia sempre un buon pensiero e una
buona opinione di me. Poi vorrei continuare a sperimentare. Nel 2018/19 ho
fatto lo spettacolo "Ciò che non si può dire". Il racconto del Cermis,
di Pino Loperfido ed è andato molto bene perché era una prova importante.
Inizialmente ho fatto la versione radiofonica per Radio Rai, un testo serio, impegnata,
che in teatro non avevo ancora fatto perché era un po’ fuori
dal mio solito percorso. Invece c’è stata un’accoglienza bellissima, la
gente è rimasta soddisfatta e mi ha lasciato esprimermi. Adesso su quell’onda
lì, sempre con Pino Loperfido come autore, sono in scena con lo spettacolo dal
titolo: “La grande nevicata dell’85”, ed è una storia
legata agli anni ’80. Abbiamo voluto fare un discorso non solo legato ai cliché,
ma anche alla vita com’era
a quei tempi, dove sembrava che tutto potesse per forza andare solo meglio,
mentre queste
aspettative sono state un po’ deluse. Lo spettacolo è un misto di
momenti seri, di riflessione, ma anche momenti spiritosi e simpatici. In
compagnia sul palco del mio grande amico nonché grande professionista Alessio
Zeni, con la sua musica e la sua voce da pelle d'oca!
Quando non lavori curi delle passioni, degli
hobby?
Mi piace suonare la batteria. Il mio amico
Mauro mi ha regalato una batteria elettronica ormai in disuso. Ti senti in
cuffia e quindi non dai fastidio ai vicini. Ho allestito il "set
ritmico" in cantina e quando ho tempo scendo, cuffie, bacchette e via! Mi sfogo così, Gianfranco.
Apprezzi la cucina trentina?
L'adoro e si vede. Quando mi guardo allo
specchio, mi dico: "Ma vai a fare una corsetta, fai qualcosa, un po' di
sport"... e poi mi rispondo: "Domani dai ... ".
Cosa ti piace?
I canederli per me sono il numero uno. Mio
papà li faceva grossi come palle da bowling.
Il mio incontro con Mario Cagol a Trento
Ricevi molte lettere, e-mail dai fan?
Lettere ed e-mail no, perché sono abbastanza
difficile da trovare. Come ti dicevo non amo i social e le comunicazioni
virtuali. Preferisco fare due chiacchiere con le persone che
incontro per strada e che mi apprezzano.
La domanda che ti fanno più spesso?
E’ più facile che le domande le facciano
alla mia compagna, che è una donna splendida. Per me è stata una gran
fortuna averla incontrata perché lei è il mio punto di riferimento. In realtà
nonostante io sia quello che fa ridere per mestiere, nella vita quotidiana sono un po’ un
rompiballe. La domanda che fanno spesso alla mia compagna è: “Anche a casa è
così?”. E lei diplomaticamente: “Si, è proprio così”, oppure magari
risponde: "A volte ride, altre volte no, alcune volte si arrabbia, piange
... è umano, come tutti". Stessa cosa capita alle mie due
fantastiche figlie Linda e Valentina, brave ragazze con la testa a posto, anche
loro rispondono diplomaticamente ... per fortuna!
Su un’isola deserta cosa porteresti e
soprattutto chi?
Porterei sicuramente lei, la mia Lorenza. I
figli sono grandi e si stuferebbero a stare sempre con me su un’isola deserta,
prenderebbero il largo dopo due giorni, su una zattera improvvisata! Cosa porterei? La batteria, ma serve la corrente e una prolunga molto lunga
(risata).
Il tuo tallone d’Achille?
Di base l’insicurezza, che magari a questo
mestiere non fa bene, ma forse è quello che ti fa restare con i piedi per
terra. Ci sono colleghi miei che vanno in giro con gli occhiali da sole, il
foulard e le scarpe di serpente ... si sono montati la
testa e si credono di essere chissà chi. Dobbiamo ricordarci qual è il nostro
ruolo nel mondo, allora un ricercatore che ha passato la vita su un microscopio
cercando di debellare malattie mortali, come dovrebbe girare? Io non ritengo di
essere un genio che sta su la notte a scrivere o a trovare le soluzioni del
mondo, faccio un mestiere che ho scelto e mi diverto. Grande fortuna!
I giovani d’oggi scoprono certe parole del
dialetto trentino grazie ai tuoi personaggi, in primis nonna Nunzia.
E’ vero. La mamma di Lorenza ha 87
anni e spesso mi racconta delle cose di una volta, io ascolto e metto via,
memorizzo. Ad esempio mi racconta di quando avevano il gabinetto fuori sul
poggiolo e i "bisogni" erano a caduta libera (risata). Pensa l’inverno che
freddo. Si parla di una sessantina di anni fa, non nel medioevo. O quando lei e
le sue amiche sono andate a casa di
un'amica quando le hanno portato la lavatrice. Tutte stavano sedute davanti mentre andava e siccome nella centrifuga sono uscite le tasche,
erano convinte che la lavatrice girasse anche quelle. Sono cose che ti fanno
ridere, perché al giorno d’oggi non ci si stupisce più di niente. Io mi
ricordo che una volta, quando sentivi una canzone bella, la richiedevi a radio
Dolomiti e stavi tutto il pomeriggio sul tasto rec. per registrarla, anche se
c’era il conduttore che gli parlava sopra. Ora se a uno gli piace una canzone,
in 3 minuti la scarica dal web. E’ un peccato perdere i ricordi dei nostri
nonni e questi racconti li uso in qualche scena nei miei spettacoli o ne prendo
spunto. Cerco anche vecchi libri con le filastrocche, usi e costumi di una
volta, perché magari ne esce qualche idea, con i vocaboli di una volta. Tutto
questo è fonte di ispirazione. E la nonna attraverso le frequenze di Radio
Dolomiti, da anni porta in onda tutto questo con grande piacere!
So che hai lavorato anche per solidarietà.
Parlo del dvd per l’associazione Bambi. Ne vuoi parlare?
L’associazione Bambi io l’ho incontrata
14 anni fa. Ero a fare il tagliando della macchina e quelli dell’officina
avevano il volantino di questa associazione che sostiene in vari modi le famiglie che
vivono il dramma di figli gravemente malati. Ho scritto una e.mail
all’associazione dicendo che se avessero avuto bisogno di uno che ogni tanto
dicesse qualcosa sull’associazione, io c’ero e ci sono tuttora. Ho dato la
mia disponibilità ed è nata questa collaborazione e credimi Gianfranco, sono
veramente delle persone splendide, molto in gamba. Quelli che hanno dato vita
all’associazione, si sono conosciuti all’ospedale, coinvolti di persona in
un grave lutto e da quel momento hanno deciso di unirsi in
un’associazione per dare una mano a chi ne avesse avuto bisogno. Sono riusciti
fino ad oggi ad aiutare tantissime famiglie, in tanti modi diversi. Quest’associazione fa tanto e per me aiutarli è un grande
onore. Poi a me
cosa mi costa? Vado una sera, faccio divertire con uno spettacolo, mangio una
pizza con loro e mi diverto anch’io, perché non è che vado a spaccare sassi
(risata). In poche parole con la mia presenza riesco a far ridere e a fare del bene,
che vuoi di più? Ma quelli che fanno veramente tanto sono loro, i volontari dell’associazione, perché vanno, organizzano, mettono i manifesti,
documentazioni, autorizzazioni ... un sacco di cose. Il mio
contributo non mi costa niente, anzi, mi arricchisce dentro sicuramente. Il
merito quindi va tutto all’associazione Bambi, al 100 per 100.
Se una delle tue figlie volesse intraprendere
una carriera come la tua, che consigli le daresti?
Lasciate perdere (risata). Cercati un posto
in qualche ufficio, magari provinciale e poi fai il comico come hobby. Fra
l’altro nessuna delle due è interessata a questa arte, forse perché ne hanno
già abbastanza vedendo me fare le prove. Consiglierei loro di fare un lavoro che a loro piace e di divertirsi.
Valentina sta studiando all'Istituto Tecnico Buonarroti, il suo obiettivo è
costruire, fare, perché fin da piccola vedeva una cosa e la rifaceva uguale ...
però sai a quell'età le passioni sono tante, l'importante è che poi si senta
realizzata da grande. Linda ha fatto l’istituto agrario a San Michele e adesso si specializza in
quel settore. Lei con gli animali, in mezzo alla natura, si trova benissimo e secondo me ha
azzeccato la sua strada, perché è portata a lavorare in quel settore.
Un domani, come vorresti essere ricordato?
Non è che voglio vivere 200 anni, perché
vedo tutta questa ricerca, questo accanimento per far vivere l’uomo sempre di più. Poi bisogna
vedere come vivi dopo una certa età, perché se perdi la dignità e hai bisogno di una badante che deve farti tutto, non so se vale la pena
vivere così a lungo. Vorrei essere ricordato come uno che ha cercato di fare
onestamente il suo lavoro e che ha sempre avuto rispetto per il suo pubblico e
per il prossimo. Anche se con il mio lavoro rischi sempre di dire qualcosa che
può dare fastidio a qualcuno. Soprattutto con la comicità, devi stare molto
attento. Ricordi Lino Banfi quando cantava : “Non sono ricchione, non sono fri
fri …”? Se lo cantasse adesso, lo metterebbero in croce.